…lo diceva qualcuno (di sinistra), ma tutto sommato è una verità condivisa da molte persone, compresi i sostenitori del “politically correct” e del “woke”. E allora cominciamo dalle parole per vedere se si giunge alle idee.
Iniziamo con un termine utilizzato in senso estremamente negativo, “divisivo”, nel significato esplicitato dal dizionario Treccani online di “che crea divisioni o contrapposizioni, impedendo di preservare o di raggiungere un’unità di punti di vista e di intenti”. Sempre secondo lo stesso dizionario si tratta di un neologismo (2013) sorto soprattutto in ambito politico.
Ma ora vale la pena chiedersi se sia giusto puntare all’unità di punti di vista e d’intenti, o meglio, se l’unità di intenti dipenda strettamente dall’unità dei punti di vista.
Una volta si riteneva che la politica avesse il primo dovere di mediare tra diversi punti di vista in uno sforzo dialettico di costruire il meglio in funzione di un intento. Dunque non c’è un’interdipendenza tra unità d’intenti e scambio dialettico. Ad esempio, se alcuni possono sostenere che è necessario soccorrere le classi meno abbienti con importanti opere di carità, altri possono invece cercare dei sistemi che limitino o cancellino del tutto il formarsi di quelle classi. Tutte e due le parti concordano nell’intento, ma hanno punti di vista diversi che possono portare ad un proficuo scambio dialettico. La dialettica è, o dovrebbe essere, la spina dorsale della politica, in particolare della democrazia, fatta di confronto, discussione e diversità.
D’altra parte, molti di coloro che trovano negativo ogni comportamento “divisivo”, sono anche impegnati contro il “pensiero unico”, altro termine che copre una realtà sfuggente. Si suggerisce che sia una sorta di pensiero conformista (di che genere?) sostenuto dai più senza una vera analisi concreta delle situazioni. Ma per uscire del pensiero unico occorre essere divisi in diverse correnti, il che comporta di essere divisivi. Dunque, sfugge la logica di quelli che ragionano in questo modo.
Una cosa occorre precisare. La pluralità di punti di vista e la dialettica hanno senso se esiste una base di rispetto per le opinioni dell’altro, l’opinione divisa e divisiva. Il rispetto è quello che permette di affrontare discussioni serie, senza insulti e senza espressioni quali: “svegliatevi! Avete il prosciutto sugli occhi! non vedete la realtà o non la volete vedere ecc.”. Occorre che le opinioni siano sempre motivate e, se possibile, sostenute da prove offerte alla vista di chi ci è contrario. Il dire “non vedi la realtà” senza offrire la propria visione e le proprie prove è, oltre che una testimonianza di enorme cattiva educazione, la dichiarazione d’incapacità di discussione.
Le parole che hanno perso il loro significato sono molte altre, ma quelle che colpiscono di più sono “comunista” e “fascista”. Già diversi anni fa, Berlusconi aveva serenamente sostenuto che uscivamo da un periodo di governo comunista, attaccando questa etichetta e tutto il periodo democristiano (!!). Ma oggi è diventato un insulto gratuito e ormai privo di significato. Per prima cosa perché il Partito Comunista con i suoi simboli e le sue pratiche politiche non esiste più da quando è stato sciolto da Occhetto (1991). Si può dire, magari, che sopravvive come mentalità, ma in questo caso occorrerebbe essere assai più precisi. Il “comunismo” affonda le sue radici in una visione massimalista del marxismo e tutto ciò che ne è al di fuori potrà essere di sinistra (ma in che senso?), ma certamente non “comunista”. E anche qui ci troviamo di fronte a contraddizioni assolute. Ad esempio, difendere l’educazione “gender” è da “comunisti”, ma nello stesso tempo si sottolinea che in URSS gli omosessuali erano perseguitati: quindi? In che cosa consiste il comunismo? Confusione storica ed ideologica assoluta. Non sarebbe meglio rimuovere la parola, nella sua accezione d’insulto, a mettere in discussioni le singole opinioni, senza etichette? D’altra parte, che cosa è sopravvissuto del comunismo originario? Quali tutele sono previste per le classi subalterne? Quali elaborazioni politiche e culturali hanno luogo in merito alla condizione delle classi subalterne? Non abbiamo neanche una ridefinizione di classi subalterne (proletariato?) che superi quella ottocentesca di Marx.
Qualcosa di simile accade col termine “fascista” che è divenuto un insulto tendente a sottolineare l’autoritarismo di certi comportamenti e di certe politiche. Facile rispondere che il fascismo non esiste più. In giro non vediamo camicie nere e squadracce…o meglio vediamo camicie nere, saluti romani e qualche tentativo di squadracce, regolarmente scusati come “goliardate”, ma non costituiscono la struttura dello stato. Sussistono ancora alcuni tratti che accomunano la destra di oggi con il fascismo: il sostegno al capitalismo, il nazionalismo, il sostegno offerto ad una politica demografica, sia pure piuttosto difettosa.
E così scopriamo, attraverso le parole ed il loro cattivo uso, che mentre la destra ha mantenuto invariati i suoi valori, la sinistra non è stata capace di rianalizzare la società attuale ed adeguare il proprio pensiero politico a tale analisi.
…E questo dovrebbe essere il primo compito da affrontare per un rilancio della sinistra. Fermarsi un attimo a pensare, smettere di giocare di rimessa e cominciare ad analizzare la situazione socio-economica per adeguare i propri valori a tale analisi. Solo in questo modo si potranno contrapporre destra e sinistra alla pari, sulla base di idee di uguale dignità e lontani dal rischio di essere solo divisivi senza essere propositivi.
Giacomo Ferrari
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