Me lo chiedo ormai da tempo: è possibile definire come moderna e avanzata una società che utilizza la parola “ultimi” come categoria sociale?
In una società avanzata e giusta non possono esistere gli ultimi e neppure i penultimi. Questi termini dovrebbero essere solo un triste ricordo da leggere sulle pagine peggiori della storia umana.
Eppure, soprattutto nel nostro Paese, siamo ormai all’abuso di questa espressione. Abuso che deriva dall’esigenza di tanti di lavarsi la coscienza e di fingere un reale interesse, strappando ogni tanto un applauso o qualche lacrima di circostanza.
Provate ad inserire nel motore di ricerca del vostro browser “impegno a favore degli ultimi”. Su chrome, per esempio, in 0,36 secondi avrete 27.800.000 risultati. Impossibile ed assurdo leggerli tutti, ma la cosa più evidente, nei contenuti dei siti che vi appariranno, è che per “aiutare gli ultimi” esistono solo due soluzioni: si divide parte del dramma con loro, tornando poi alla vita normale, oppure gli si tende una mano caritatevole.
Insomma un approccio di tipo religioso degno di rispetto, ma che conferma il disinteresse totale da parte della politica (ma anche di una enorme parte della nostra società) a risolvere strutturalmente questa situazione.
Certo, in una società che odia i poveri (si abbia il coraggio di chiamarli con il loro vero nome) e che ha persino dichiarato loro guerra senza quartiere, l’impegno di singoli o associazioni a favore degli ultimi non può che avere il massimo apprezzamento, ma è fondamentale capire che questo loro fervore non è la strada maestra da percorrere.
Il 10 dicembre 1948 veniva adottata la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, documento che fissava valori universali che tutelano la libertà e, soprattutto, la dignità di tutti gli esseri umani.
La classe politica uscita dalla seconda guerra mondiale era cosciente dell’esigenza di ricostruire la società su un modello nuovo che mettesse le persone e la loro dignità al centro delle scelte di ogni Stato.
Sandro Pertini, autorevole Presidente della Repubblica, nei suoi interventi pubblici sottolineava spesso che la lotta partigiana fu animata da ideali perenni e che “questi ideali sono la libertà e la giustizia sociale, che – a mio avviso – costituirono un binomio inscindibile, l’un termine presuppone l’altro; non può esservi vera libertà senza giustizia sociale e non si avrà mai vera giustizia sociale senza libertà”.
Sembrerebbe che siamo rimasti fermi al 1948, ma non è così. La novità è che oggi si è raggiunta una maggiore situazione di sopraffazione sui lavoratori, sulle donne e sui poveri.
Negli ultimi venti anni la politica, che peraltro non rappresenta più nessuno se non dei padroni e dei gruppi di potere, ha abbracciato una nuova fede secondo la quale i meccanismi del mercato sono i principali, se non gli unici, strumenti per realizzare il bene pubblico.
…Ed ecco qui la seconda stortura, elemento dissonante della società attuale. Un’espressione dell’attività umana, ovvero il mercato, assume il ruolo di guida della società stessa e viene considerato come una categoria sociale.
Ma consegnando la società alle regole delle imprese nazionali, delle multinazionali e delle finanziarie si pensava davvero di costruire una società libera e giusta come abbozzata dalla Dichiarazione dei Diritti? Non scherziamo.
Come stupirci, quindi, per la disumana guerra combattuta contro i poveri e contro il diritto di ogni persona ad una vita dignitosa?
Altro elemento di riflessione, su questo scivoloso terreno, è che in una società falsamente meritocratica come la nostra, la tendenza è quella di colpevolizzare le vittime per la loro situazione, in ogni aspetto della vita.
In particolare il mantra che ci viene inculcato da anni è: se lavori tanto, se ti impegni e se alzi il tuo livello di studi hai la possibilità di realizzarti nella vita, soprattutto economicamente. Se non ci riesci la colpa non può che essere tua.
Per la prima volta nella storia dell’uomo, quindi, le inaccettabili situazioni di ingiustizia, di povertà, di insuccesso vengono addossate alle vittime del sistema e non ai meccanismi sociali ingiusti, iniqui e classisti. Quindi non è più colpa del sistema, ma è colpa delle persone. Se il sistema funziona allora i perdenti non possono che perdere il loro diritto ad essere considerati cittadini, perdendo così anche il loro diritto ad essere tutelati dalla società.
Per questo motivo, quindi, l’unico intervento a favore degli “ultimi” non può che essere quello della carità dei singoli, delle associazioni e dello Stato, quest’ultimo quando perde un pò di crudeltà.
Anche la sinistra, prima negli Stati Uniti e poi in Europa (in Italia a livelli incredibili), ha abbracciato questa fede assurda e proprio alla sinistra dobbiamo addossare una colpa enorme. La scelta ideologica, infatti, di favorire il mercato (i ricchi, insomma), sottraendo ai lavoratori e all’intera società parte dei diritti e della dignità, facendo esplodere una disuguaglianza che condanna i nostri figli a condizioni di vita peggiori di quelle dei loro genitori, ha favorito la nascita di una risposta populista che non può che portarci al baratro.
Ma la risposta a questa situazione, tanto esplosiva quanto ingiusta, in Italia è stata l’abolizione del reddito di cittadinanza e la riaffermazione del mantra: con il lavoro e lo studio (oppure i corsi di professionalizzazione) potrete avere una vita migliore.
Peccato, però, che il nostro mondo del lavoro sia orientato verso lo sfruttamento ed il lavoro nero e che proprio i più professionalizzati o i laureati possano solo ambire a lavori precari e sottopagati…..
Veramente surreale: la teoria del divano sviluppata e poi spiegata da politici che da anni vivono con “il reddito di cittadinanza” (loro lo chiamano indennità di carica), che percepiscono mensilmente per la loro inattività parlamentare (o all’interno degli Enti pubblici), spesso senza mai aver lavorato in vita loro. Un reddito di cittadinanza a più zeri che, al contrario della miseria che lo Stato versava ai cittadini in difficoltà, si trasforma spesso anche in vitalizio.
Disgustoso, vero?
…e allora che fare?
Innanzitutto partire da un concetto: una società civile e avanzata deve assicurare diritti e vita dignitosa a tutti i suoi cittadini. Se si parte da questo assioma le soluzioni sono evidenti.
Il problema è quello di avere il coraggio di percorre la famosa strada maestra. Questo dobbiamo pretendere da coloro che manderemo a rappresentarci nelle istituzioni.
Al solo scopo di sfuggire alla solita accusa di non avere proposte, posso fare degli esempi pratici. Cosa possiamo chiedere per garantire un po’ di giustizia sociale? Si potrebbe:
- reintrodurre immediatamente, adeguandolo ai bisogni reali, il reddito di cittadinanza.
- riscrivere le normative sul lavoro con particolare attenzione ai diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, abolire le aziende di lavoro interinale, eliminare i rapporti di lavoro fittizi (p.e. stage), fissare il salario minimo nazionale, introdurre un contratto unico nazionale da utilizzare per tutte le realtà al di fuori dei contratti già esistenti e che sostituisca tutti i contratti con condizioni meno garantiste.
- indirizzare maggiori risorse verso realtà di cooperazione che recuperino la produzione e/o il lavoro di aziende in crisi o destinate alla chiusura per ricollocazione in paesi stranieri.
- formulazione di un vero piano di occupazione basato su scelte strategiche (queste sì) di mercato.
- bloccare l’importazione di beni e prodotti da quei paesi dove non sono assicurati salari adeguati e dove le condizioni di lavoro e di sicurezza non siamo identici agli standard europei
Ma la soluzione regina rimane sempre la stessa ed unica: far pagare di più a quelli che ne hanno tanti e forse troppi.
Esattamente l’opposto delle scelte fatte dai governi occidentali e dal Governo di centro destra oggi al potere in Italia.
E’ ormai intollerabile che la forbice tra chi ha troppo (davvero pochi) e chi ha poco o nulla (davvero troppi) si dilati sempre di più. Gli ultimi, ovvero i poveri, sono solo il prodotto di questa scelta ingiusta ed inaccettabile.
Ultimo esempio? All’Onu nei giorni scorsi è stata approvata la risoluzione dei Paesi africani per riscrivere le regole fiscali globali e per combattere i paradisi fiscali. La proposta è passata a larga maggioranza con 125 voti favorevoli, 48 contrari e 9 astenuti.
Riuscite ad indovinare chi ha votato contro il documento?
Vi avviso: la soluzione è troppo facile e quindi non è previsto alcun premio…..
Dario Roasio
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https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/12/04/lereditiera-del-gruppo-basf-tassate-di-piu-i-super-ricchi-come-me-raccogliamo-1-milione-di-firme-perche-la-ue-agisca/7373155/